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“Joker: Folie à Deux” è un crollo sotto il peso delle aspettative

Se in “Joker” Arthur rivelava la sua vera identità indossando la maschera disvelatrice dell’Io, in “Joker: Folie à Deux” avviene l’opposto. Funzionerà il sequel-musical di Todd Phillips con Joaquin Phoenix e Lady Gaga? Probabilmente sì. Ci ha convinto? No

Il titolo in concorso a Venezia più atteso dal grande pubblico è senza alcun dubbio Joker: Folie à Deux di Todd Phillips, che cinque anni dopo l’ultima volta torna dietro la macchina da presa per dirigere Joaquin Phoenix nei panni del villain forse più iconico dei cinecomic. Diciamocelo chiaramente: dopo l’inatteso Leone d’Oro del 2019, i due premi Oscar (su undici candidature) e oltre un miliardo di dollari incassati al botteghino con Joker, riuscire a realizzare un sequel all’altezza del predecessore sarebbe stata un’impresa ardua per chiunque. Le premesse tuttavia lasciavano sperare in un buon film, visto l’annuncio di un musical con Lady Gaga co-protagonista nei panni di Harley Quinn. Ebbene, le aspettative sono state clamorosamente disattese.

ATTENZIONE: Prima di procedere con la lettura dell’articolo, si segnala la presenza di spoiler.

Joker: Folie à Deux si apre con Arthur Fleck internato ad Arkham, in attesa del processo per i crimini commessi nel titolo precedente. In principio assistiamo quindi ad un vero e proprio dramma carcerario, caratterizzato dalle lugubri atmosfere del primo Joker. Fin qui tutto bene, soprattutto se si considera che le prime canzoni fanno esattamente ciò che dovrebbe fare qualsiasi brano di un musical, vale a dire portare avanti la narrazione, mostrando al pubblico lo stato d’animo dei personaggi (cosa particolarmente confacente alla complessa personalità del protagonista in questione). Dopo la solidissima prima parte (conclusasi con la conoscenza, l’innamoramento e il rapporto sessuale tra Arthur e Harleen), il processo ha finalmente inizio e il film precipita inesorabilmente. Il dramma carcerario si trasforma in una sorta di legal thriller; il ritmo però crolla, la tensione si fa via via più impercettibile e le canzoni (nessuna delle quali particolarmente memorabile) diventano stacchetti del tutto slegati rispetto alle vicende a cui si sta assistendo. A peggiorare le cose è poi la piega che prende la linea narrativa del protagonista, che finisce con lo sconfessare uno degli elementi più interessanti del primo film: se infatti nel 2019 abbiamo assistito al personaggio di Arthur che rivela la sua vera identità indossando la maschera di Joker, disvelatrice dell’Io, in Joker: Folie à Deux avviene il processo opposto.

Con un’arringa finale in cui il protagonista rivendica l’autenticità dell’uomo dietro alla maschera, rinunciando quindi a Lee, innamorata (come il pubblico del resto) solo di Joker. Da questo inciso discendono due importanti corollari. Il primo è quello che certifica il fallimento dell’operazione (almeno dal punto di vista artistico, sarà poi il botteghino ad avere, come sempre, l’ultima parola); se le intenzioni di Phillips erano quelle di realizzare un prodotto che desse al pubblico ciò che voleva (come sembra dichiarare proprio tramite le parole di una Lee che guarda in camera), non sembra esserci riuscito, vuoi per il ridimensionamento della maschera di Joker, vuoi anche per il potenziale non sfruttato del musical e di Lady Gaga, vuoi soprattutto per l’esasperata ricerca finale di un sensazionalismo che riscattasse l’appiattimento centrale del film (il tribunale esplode improvvisamente, Arthur viene imprigionato e addirittura ucciso, scongiurando forse definitivamente la realizzazione di un terzo capitolo). La morte del protagonista impone poi un’ulteriore riflessione: se infatti Arthur, dopo aver ideologicamente ucciso Joker, si fosse volontariamente tolto la vita, il film sarebbe tornato a legittimare la lettura della maschera disvelatrice dell’Io: morta lei, la vita di chi la indossava non ha più senso.

Arthur però viene ucciso da un altro carcerato (suo probabile emulatore), adagiandosi al suolo nella stessa posa di apertura del film del 2019 (dopo il pestaggio iniziale da parte dei ragazzini), chiudendo quindi il cerchio in modo decisamente problematico. Il secondo corollario riguarda invece l’unico aspetto interessante del film, vale a dire l’ambiguità di Lee: trattandosi di un personaggio strettamente legato a Joker e completamente disinteressato ad Arthur è possibile pensare che la donna sia il frutto della sua immaginazione. Tesi questa potenzialmente affascinante (e che risolverebbe svariati buchi di trama), ma ampiamente confutabile se si pensa che nel primo film tutti i momenti ambigui venivano didascalicamente spiegati da Phillips (limite questo riscontrabile anche in Joker: Folie à Deux, quando, dopo la prima sequenza musicale, il regista mostra in modo superfluo che la canzone di Joker in carcere sia solo il frutto della sua immaginazione). Infine, come se non bastasse, l’opera presenta tutta una serie di difetti tipici dei sequel di un grande successo, tra cui spiccano l’evidente povertà creativa (sia sul piano visivo, che su quello narrativo) e la presenza di insistiti ammiccamenti alle sequenze più iconiche del titolo precedente.

Venendo alla poche note positive, non si possono non menzionare le soddisfacenti interpretazioni attoriali (Joaquin Phoenix torna a vestire con grande naturalezza i panni del personaggio che gli ha garantito il suo primo Oscar, mentre Lady Gaga, seppur non sfruttata a pieno, garantisce la giusta dose di credibilità alla sua Harley Quinn) e la sempre ottima colonna sonora di Hildur Guðnadóttir (anche lei premio Oscar insieme a Phoenix per il primo Joker). Insomma, come spesso accade, anche questa volta il titolo con maggiori aspettative si è rivelato quello più deludente. Nel microcosmo veneziano, a testimoniare il disappunto degli spettatori è stato anche il timidissimo applauso rivolto al film durante i titoli di coda (preceduto invece da un’entusiasta ovazione nei titoli di testa). Al Lido i sostenitori Joker: Folie à Deux non mancano, ma sarà come sempre il grande pubblico, nel corso dell’autunno, a stabilire la riuscita commerciale di un’operazione tanto ambiziosa sul piano produttivo, quanto debole su quello strettamente cinematografico.