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Per Olivia Dean amare è un’arte a tutti gli effetti

Olivia Dean firma “The Art of Loving”, un lavoro forse imperfetto ma necessario, che conferma al grande pubblico il suo ruolo tra le artiste più interessanti della sua generazione

Avevamo veramente bisogno dell’ennesimo disco sull’amore? La risposta è chiaramente no. Eppure Olivia Dean ne ha pubblicato uno, meraviglioso e tutto fuorchè banale. The Art of Loving sceglie di attraversare un territorio già logoro, eppure inesauribile. La differenza rispetto a tanti altri progetti usciti nell’arco del 2025 è che lo fa con maestria e sapienza, attraverso la voce e l’indiscutibile talento di una cantautrice che negli ultimi anni si è affermata come una delle figure più credibili del pop e del neo-soul britannico. Classe 1999, nata nel quartiere di Haringey da padre inglese e madre di origine giamaicana-guyanese, cresciuta a Walthamstow tra cori gospel e il successivo approdo alla BRIT School di Londra, Dean ha raccolto influenze che spaziano da Carole King a Amy Winehouse, fino a Lauryn Hill (con cui condivide il suo middle name), e le ha rielaborate in un linguaggio tutto suo: ballate introspettive, un pop caldo, avvolgente, ma con un’autentica anima soul.

Dopo il disco di debutto Messy, accolto positivamente dalla critica, nominato ai Mercury Prize, ai BRIT Awards e celebrato da una leggenda come Elton John, Olivia ha iniziato a farsi spazio come una nuova voce globale, arrivando a condividere il palco e duettare con artisti del calibro di Sam Fender e Sabrina Carpenter. Mancava solo uno step: tentare la consacrazione ormai quasi preannunciata dal successo del singolo Man I Need su TikTok. Prodotto principalmente da Zach Nahome, The Art of Loving è costruito come un mosaico: ogni canzone affronta un lato diverso dell’amore, inteso non come magia ma come pratica che richiede cura e vulnerabilità. So Easy (To Fall In Love), scelto come nuovo singolo in concomitanza con l’uscita del progetto, racconta l’innamoramento con leggerezza e speranza. Il calore analogico di Lady Lady e l’intimità sospesa di A Couple Minutes riportano la Dean a quelle radici che la collegano a Lauryn Hill e, per certi versi, a un’anima retro mai nostalgica, affidandosi alla voce magnetica e avvolgente della sua autrice e interprete. Il cuore vulnerabile del disco è rappresentato da Let Alone The One You Love, Loud e Close Up. Qui l’album si fa più fragile, meno smussato: Olivia gioca con i contrasti emotivi, esponendosi e scrivendo nero su bianco anche i chiaroscuri che le appartengono. A spezzare il ritmo ci pensa un pezzo come Nice To Each Other, che fa della gentilezza come forma d’amore quotidiano il suo mantra.

La chiusura con la ballad I’ve Seen It è la sintesi perfetta del progetto, con una punta avvolgente di nostalgia e malinconia. È qui che il disco assume una dimensione quasi filosofica, provando a spiegare che l’amore non è magia. È una disciplina, un atto di vulnerabilità che ci unisce. Certo, non tutto funziona alla perfezione. In alcuni passaggi i testi inseguono metafore già sentite e qualche brano sembra sacrificarsi per aderire alle logiche radiofoniche. Il valore aggiunto di questo album risiede nel tentativo di restituire al sentimento più cantato e rappresentato in assoluto una complessità che la musica pop troppo spesso appiattisce o banalizza. Olivia firma un lavoro imperfetto, ma necessario, ribadendo al grande pubblico di essere una delle artiste più interessanti della sua generazione. E poi, in un’epoca che consuma canzoni alla velocità di un New Music Friday o una Daylist, lei sceglie di fermarsi e ricordarci che amare è a tutti gli effetti un’arte. Ascoltandola, si ha l’impressione che abbia ragione.