Alla domanda «È cambiato qualcosa quando hai compiuto trent’anni?», spesso si risponde «nulla!». In realtà, anche se quel giorno apparentemente non cambia molto, tutto è diverso. Nella nostra testa, che lo vogliamo o meno, si crea una sorta di lista. Spuntiamo caselle immaginarie che raccontano successi e cadute, gioie e sconforti, affetti e perdite. Facciamo, irrimediabilmente, i conti con il passato. C’è chi si ritrova più solo, chi sente di aver raggiunto i primi grandi obiettivi, chi arranca nella speranza di trovare ciò che cerca da tutta la vita. O meglio, dall’inizio della vita adulta. Poi, però, ci sorprendiamo a renderci conto che la tanto decantata “vita adulta” è, in realtà, quella in cui mettiamo i piedi proprio quando superiamo i trent’anni. Quando, magari, dopo aver vissuto tutta la vita nella stessa città, riusciamo ad andare a vivere da soli. Quando riusciamo ad arrivare a fine mese senza chiedere aiuti esterni. Ernia sembra aver sentito questo passaggio, questa sorprendente “vita adulta” attesa, sofferta, gioiosa e spesso desiderata, fatta di consapevolezze nuove e di sguardi rivolti al passato non per giudicarsi, ma per tirare le somme di quello che si è ottenuto, di ciò che si ha, ma anche di ciò che si è perso. Lo fa con l’intenzione di chi non ha paura di non centrare la hit, di guardare agli stream, di raggiungere un obiettivo falso che non racconta chi è, ma forse più come lo vede e percepisce chi lo ascolta, anche distrattamente. Lo fa con il suo nuovo album Per soldi e per amore.
Una dicotomia, quella tra soldi e amore, che apparentemente potrebbe non coincidere, come due rette parallele che non si incontrano mai. Dove c’è uno può esserci anche l’altro? E quando uno sovrasta l’altro, cosa succede? A tre anni da Io non ho paura, Ernia si rivolge ancora al suo pubblico con «un disco che non vuole essere quello della maturità». È un disco consapevole, vero, nel senso più genuino del termine, che racconta le sfaccettature di un ragazzo diventato uomo, figlio e poi padre, che non vuole romanticizzare la sua vita e che, a distanza di due mesi dalla nascita di sua figlia, non vuole insegnare a nessuno «cosa voglia dire essere padre», perché probabilmente neanche lui lo sa ancora. Lo sta imparando. Ed è proprio questo Per soldi e per amore: un disco di consapevolezze, di accettazione, dove insoddisfazione e gratitudine possono convivere, in una tracklist che non è pensata per il mercato, ma per creare un racconto comprensibile, senza sovrastrutture. Ernia si circonda, in questo progetto, di tutto ciò che conta davvero: la famiglia, gli amici, gli affetti in senso ampio. Senza paura di rivolgersi ai suoi genitori, a sua sorella, alla sua compagna e a tutti coloro che, per diversi motivi, fanno parte della sua vita e lo hanno accompagnato in questo percorso. Lo fa con Charlie Charles, fondamentale nello sviluppo di questo nuovo progetto, e con collaborazioni che non sono scontate, ma ricercate e volute: da Kid Yugi a Madame, dai Club Dogo a Marracash.

Soldi e amore potrebbe rappresentare una sorta di dicotomia, come vita e morte. Spesso ci sembra che non possano stare insieme. C’è un momento in cui c’è effettivamente equilibrio?
Noi spesso le contrapponiamo, ma non lo sono sempre. Fare qualcosa per soldi con scopo ultimo l’amore non le contrappone, rende il primo solamente un mezzo. È vero, sembra che nel disco le contrapponga e alla fine faccia vincere l’amore, involontariamente. Sono due motori che muovono le vite di tutti. Tu magari oggi sei qui per amore del tuo lavoro, ma anche per soldi perché io non ti piaccio (ride, ndr.). O magari hai iniziato a fare il tuo lavoro per amore e continui a farlo unicamente per i soldi perché hai perso quella fiamma.
In “Per i loro occhi” dici: “È anni che ci parlo con la psico/Che parte del problema forse nasce dal principio”. Parli del rapporto con i tuoi genitori e affronta un tema interessante, perché ci viene insegnato che i legami di sangue sono indissolubili, ma allo stesso tempo il conflitto con i genitori è quasi inevitabile.
Le difficoltà dei miei genitori nell’essere genitori sono state causa mia. I miei non sono particolarmente espansivi e calorosi, io stesso non lo sono come ci si potrebbe aspettare.
Forse qui più che perdonarli hai imparato a comprenderli?
Non è che li ho perdonati, perché non hanno bisogno del mio perdono, ho accettato come sono perché anch’io sono così. La mela non cade lontano dall’albero, e da adulto mi rendo conto che tante cose che odiavo le faccio uguali. Quando sei più giovane dici “non sono come loro”, ma quando cresci non conosci alternativa e quindi pensi “va bene così”.
Hai detto che non dobbiamo considerare questo come «disco della maturità», ma i trent’anni sono, forse per costrutto sociale, il momento in cui entriamo davvero nella vita adulta. Viene da chiedersi, arrivandoci, se l’età più bella sia stata quella tra i venti e i trenta o quella che arriva dopo.
Mi sento molto più lucido adesso. I venti-venticinque anni sono stati belli perché iniziavo a fare questo lavoro, diventava una professione e ho dei bei ricordi perché stavamo veramente andando alla carica. Ora però mi sento molto lucido, non vedo l’aspetto negativo di me come essere umano a quest’età. Forse rimaniamo legati a quello che ci siamo costruiti quando eravamo più giovani, perché sapevamo che i nostri genitori ci avevano avuto grossomodo intorno ai trent’anni, quindi pensavamo che a quest’età dovesse essere tutto a posto: famiglia, casa, macchina. Abbiamo un modello che in molti casi la nostra società non ci ha più permesso. Ci aspettavamo che i trenta fossero la fine del divertimento, e invece è cambiato il punto di vista e il bisogno.