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Strano, ma vero: quando le band odiano i loro maggiori successi

Se avete comprato il vostro biglietto per ascoltare i Radiohead gridare “But I’m a Creep”, sappiate che tornerete a casa delusi.

Mai sentito parlare di Conrad Hassel? Si tratta di un agente speciale dell’FBI. Nello specifico della persona che coniò nel 1973 il neologismo Sindrome di Stoccolma successivamente riconosciuta come una vera è propria sintomatologia. Essa consiste nel paradossale atteggiamento che una o più persone oggetto di un rapimento manifestano in difesa dei propri persecutori, fino ad arrivare ad ammirarlo. Nasce proprio da un fatto di cronaca che vide un gruppo di quattro impiegati di banca di Stoccolma (appunto), difendere i rapinatori testimoniando in loro favore una volta liberi. Per certi versi amare il proprio nemico è praticamente assurdo quanto odiare il proprio miglior amico o – ed è qui che voglio arrivare – la cosa che ci ha reso ricchi e famosi. È un po’ come se Roberto Carlos odiasse le punizioni dalla lunga distanza, oppure Kubrick avesse odiato 2001: Odissea nello spazio. Per fare un paragone ancora più blasfemo, è come se Dante Alighieri avesse odiato la Divina Commedia. Eppure sono molti i casi in cui, nella storia della musica, un artista o un musicista odi il brano che lo ha reso celebre. Ecco tre esempi eclatanti – tutti degli anni Novanta – seguiti da qualche menzione speciale.

Radiohead, Creep

Tralasciando gli aspetti legali che hanno tirato in basso questo brano (plagio di The Air That I Breath degli Hollies), Thom Yorke non ha mai fatto mistero di non amare Creep: singolo di incredibile successo estratto dal disco d’esordio della band di Oxford Pablo Honey. Il brano, se paragonato ai picchi raggiunti già solo con The Bends – per non citare Ok Computer, Kid A e In Rainbows – è poco più che un ottimo pezzo rock sulla depressione amorosa, ricco di cliché altamente stereotipati e ripresi per decenni da band di ogni parte del globo. In poche parole: se avete comprato il vostro biglietto per ascoltare Yorke e soci gridare “But I’m a Creep”, sappiate che c’è un buon 90% di possibilità che torniate a casa delusi.

Nirvana, Smells Like Teen Spirit

Non abbiamo questioni legali da tirare in ballo qui, solo illogica antipatia verso quello che la rivista Rolling Stone considera il nono brano più bello della storia della musica. Eppure Kurt, Krist e Dave non sono dello stesso avviso. Soprattutto Cobain nel corso degli anni ha dimostrato di non trovare piacere nell’eseguire Smells Like Teen Spirit live; c’è ad esempio una versione in cui auto ironicamente la fa introdurre da More than a Feeling dei Boston, che è la sorellastra allegra e colorata di Smells. Altra testimonianza dell’antipatia verso questo brano è l’assenza nella tracklist di quello che probabilmente è il live più celebre ed iconico della band di Aberdeen, ossia MTV Unplugged. Il titolo del brano deriva da una singolare situazione che vide una ragazza che Kurt aveva conosciuto e portato con sè scrivere su un muro “Kurt smells like Teen Spirit”, ossia: “Kurt odora di Teen Spirit” (un deodorante molto in voga nei Nineties). Cobain scoprì solo successivamente cosa fosse il Teen Spirit. Forse è questo il vero motivo che lo porta ad odiare il brano più famoso del 1990?

Oasis, Wonderwall

Gli Oasis vinsero indubbiante la guerra del brit pop contro gli acerrimi (?) rivali capitanati da Damon Albarn. Se il brano più celebre dei Blur è senza ombra di dubbio Song 2, quello degli Oasis potrebbe essere indistintamente uno tra Don’t Look Back in Anger e Wonderwall. Ipotizzando che quest’ultimo la spunti al fotofinish, c’è sicuramente da annotare il fatto che Liam Gallagher lo odi profondamente, tanto da aver dichiarato di essere indignato ogni qualvolta che la gente lo ferma per strada chiedendogli se sia lui quello di Wonderwall. A onor del vero Liam non è affatto solo quello di Wonderwall, ma purtroppo non ci si può sottrarre alla fama generata da un pezzo tanto celebre in tutto il mondo.

Ma non finiscono qui: Stairway to Heaven dei Led Leppelin che – oltre ad essere stata più volte tacciata di plagio – è anche un pezzo in cui, secondo lo stesso Plant, le parole non sono all’altezza della parte musicale. Sweet Child O’ Mine dei Guns, che il buon Slash proprio non sopporta. E pensare che la fama nasce proprio da quel riff iconico che, se non è il primo, è il secondo che si impara alla chitarra, dopo quello di Smoke On The Water, ovvio. Assurdo che, ironia della sorte, in questa lista non figurino i Muse o i Sum 41, che hanno scritto un brano proprio dal titolo Stockholm Syndrome. Scopro proprio ora, cercando su Google, che anche altre band hanno nel loro repertorio un pezzo col medesimo titolo, tra cui spiccano gli One Direction. Chissà che anche loro, in fondo in fondo, non abbiamo odiato la loro Best Song Ever che dal titolo aveva già molto per cui essere detestata. Ma questa è un’altra storia.