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“Russian Doll”, la morte è sempre più cool

Un’indagine sullo stato mentale dell’essere umano, la vacillante e farraginosa ricerca di una sanità per lo più utopistica, l’eterno ritorno dell’uguale di Friedrich Nietzsche, il concetto di loop psichico, l’infinito leopardiano e tanto altro in uno psico-dramma che unisce ironia e morte in un unicum in grado di stravolgere anche i più saldi in fatto di morale. Russian Doll, la matrioska, appunto, è Natasha Lyonne (Orange is the New Black, American Pie e Scary Movie 2) che mantiene il suo carattere forte alla Sex and the City e l’ironia delle donne emancipate che prendono per i fondelli chiunque si presenti loro davanti.

Una serie televisiva ideata dalla stessa attrice protagonista, che si distingue per il suo essere sui generis e caleidoscopica, a tratti claustrofobica e per la capacità di mettere in luce i limiti della mente e le macchie indelebili dell’esperienza. Riassumere senza spoilerare è estremamente facile stavolta: Nadia si trova in bagno durante la sua festa di compleanno, bussano alla porta, esce, la sua migliore amica le offre una sigaretta corretta con droghe sintetiche e alla fine della serata muore. Nell’istante stesso si ritrova nel bagno, alla festa, illesa. Inizia così un loop che la imprigiona in una serie infinita di sliding doors che le permettono di perquisire la quarta dimensione. Tutto sembra uguale in queste proiezioni ma forse non è così.

Chapeau a Netflix per aver creduto in un prodotto apparentemente tutt’altro che mainstream che dal primo febbraio distribuisce sulla piattaforma. Otto puntate da meno di trenta minuti: un mix adrenalinico di emozioni in formato bignami già apprezzato da pubblico e stampa ad unanimità.