C’è un racconto di Edgar Allan Poe in cui il protagonista, pur se dichiarato morto, sente ogni suono e percepisce ogni minimo movimento mentre viene sepolto vivo. È la rappresentazione perfetta di cosa succede quando il dolore non ti uccide, ma ti costringe a sentirlo tutto, da dentro una bara di silenzio. Bitter Bites di Il Mio Oblio nasce da una condizione simile: un’esperienza sepolta viva nella mente, dove le emozioni non si spengono mai davvero, ma continuano a battere sotto la superficie. È un album fatto di confessioni a cuore aperto, scritte senza anestesia. Dentro c’è tutto: la malinconia che non consola, le illusioni che si spezzano, la sincerità come unica arma per non smarrirsi del tutto. Un lavoro che non cerca compassione ma comprensione. E che, come i racconti di Poe, non fa sconti a nessuno.
Bitter Bites suona come un diario personale messo a nudo a colpi di chitarra e rime. Quando hai capito che dovevi trasformare il tuo dolore in un album, e non in qualcosa di più silenzioso?
Una volta preso atto definitivamente che non sarei mai riuscito a silenziare il rumore nella mia testa. A quel punto ho deciso di trasformarlo in musica. Ci sono stati momenti in cui è stato davvero assordante. È stata una strategia d’adattamento
Il concetto di “spleen” attraversa tutto il disco. C’è mai stato un momento in cui hai pensato che questa malinconia sarebbe diventata una parte positiva della tua identità?
Positiva non saprei. Preferirei di gran lunga riuscire ad essere più naïf e ottimista. Preferirei di gran lunga stare bene con me stesso e con ciò che mi circonda. È brutto quando ci sarebbero mille ragioni per vivere e lavorare su se stessi per un giorno raggiungere la felicità, ma semplicemente non ti importa. Preferirei essere diverso.
Ogni traccia ha una sua animazione “burtoniana”. Come hai costruito il tuo mondo visivo? Quanto ti sei dovuto allontanare da te stesso per vederlo in modo così vivido?
L’estetica dell’album è volutamente un tributo allo stile del Tim Burton di Morte malinconica del bambino ostrica e altre storie e della poesia illustrata di The Nightmare Before Christmas, che ha ispirato l’omonimo film. Sono entrambe opere che, oltre a ricordarmi la mia infanzia — durante la quale ne sono stato totalmente ossessionato — hanno profondamente influenzato il mio gusto estetico. Nel momento in cui mi sono approcciato al lato visivo del progetto, mi è stato subito chiaro che nulla sarebbe stato più coerente con i miei testi di questo immaginario preciso. Grazie all’incontro con l’illustratrice Polyxeni Katsari, ho potuto traslarlo in immagini nitide e, in un certo senso, renderlo davvero mio. Più che allontanarmi da me stesso per visualizzarlo, ho voluto assecondare il me stesso bambino.
Ti sei mai chiesto se scavare così a fondo, come fai nei tuoi testi, rischia di diventare una forma di autolesionismo invece che di catarsi?
Partendo dal presupposto che so di avere una personalità autolesionista e autodistruttiva, mettere per iscritto le proprie turbe, penso aiuti a sopravvivere. Le fobie, una volta razionalizzate, fanno un po’ meno paura.
Jackpot parla di un amore che sembra riscrivere il destino. Fuori dalla musica: credi davvero che una persona possa salvarci o è un’illusione poetica?
Ne sono ciecamente certo. Fino a quando non lo sono più. Per poi esserlo di nuovo. E poi dubitare ancora. In ciclo infinito.
Nel suono del disco si sente forte il richiamo all’adolescenza, ma senza nostalgia sterile. Ti senti più in pace con il ragazzo che sei stato o con l’adulto che stai diventando?
Vorrei davvero saper rispondere a questa domanda. Cambierei diverse cose del me adolescente. E cambierei ancora di più del me adulto. Ma giuro che sto provando a migliorarmi, nonostante mi capitino ancora frequentemente ricadute in vecchie e cattive abitudini. C’è ancora molto lavoro da fare.
Hai detto che Il Mio Oblio è nato da una lunga pausa e disillusione. Cosa hai dovuto lasciare morire di te per poter ripartire?
In passato avevo un ego ingombrante, al limite del delirante.
Ma poi ho dovuto fare i conti con continui fallimenti come artista e come persona. E mi ha annichilito. Azzerato. Ho dovuto ammazzare il vecchio me. Anche se ho ancora momenti in cui mi sembra voglia tornare dall’oltretomba.
Quanto è stato difficile scegliere di tornare alla musica senza indossare più nessuna maschera? Ti capita ancora di voler barare con te stesso?
Quando scrivo riesco ad essere davvero sincero ed essere davvero me stesso. So che suona sicuramente banale, ma per me è per davvero così. I miei testi sono un semplice flusso di coscienza, in alcuni casi con un punto di vista razionale, altre volte con tutto il coinvolgimento emotivo possibile. Riguardo il barare con me stesso, a differenza che con la scrittura, è routine. Ho ancora da lavorare molto su me stesso.
Se potessi racchiudere tutto Bitter Bites in un solo frame di quelle animazioni dark, che immagine vedremmo?
La prima volta che mi si è spezzato il cuore.
Scrivere testi costa meno dello psichiatra, dici. Ma pensi che un giorno la musica potrà guarirti davvero o sarà sempre una battaglia aperta?
Non credo. Non penso possa guarirmi, ma non è nemmeno il suo reale scopo. Scrivo per non impazzire, per cercare di mettere ordine. E va bene così.